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Malgrado tutto, direi che questa vita è stata bella
Con una prosa ironica, ammiccante e fantasiosa, Jean d’Ormesson si svela al lettore attraverso un resoconto autentico e appassionante della sua vita. Un resoconto in cui i ricordi, i rimpianti e i sogni mai realizzati di un grande scrittore si fondono insieme senza nostalgia né patetismi, per offrire il ritratto a tutto tondo di un secolo e di un’intera nazione.rnrn«Fin dalle prime righe, la penna è vigile e ironica. In questo viaggio della memoria, la gioventù rimane eterna, imperiosa, insolente» - Atlanticornrn«Una prova grandiosa: brillante, allegra, scritta da un autore amato da tutti» - rnla Croixrnrn«Un libro che mette in scena l’avventura che è stata la lunga vita dello scrittore. Un invito a essere felici» - rnLa viernrnrnSi può ricostruire la propria vita come se si trattasse di un processo il cui giudice altri non è che il proprio Super-Io?rnIn un serrato, folle e avvincente dialogo con se stesso Jean d’Ormesson ripercorre le tappe salienti della sua esistenza, iniziata tra la fine della Prima guerra mondiale e la grande crisi.rnIncalzato da un Super-Io severo, benevolo e a tratti spietatamente ironico, d’Ormesson parla dei primi viaggi al seguito del padre diplomatico: inizialmente in Baviera, dove impara a parlare tedesco prima di parlare francese, poi in Romania e in Brasile, fino al rientro in Francia nel castello di famiglia. Casato appartenente alla casta irrequieta e orgogliosa della nobiltà di toga, i d’Ormesson danno poca importanza al denaro, ma questo non impedisce al piccolo Jean di crescere circondato da autisti, cuochi, maggiordomi e cameriere, perché vi sono pur sempre gli obblighi imposti dal rango sociale.rnIl lignaggio impone un codice di comportamento al quale è fuori questione non sottomettersi: si indossa lo smoking, la marsina, il frac e il cappello a cilindro; sono rigorosamente bandite espressioni come «caspita!», «piacere di rivederla», «buon appetito!» o «buon proseguimento », mentre «dopo cena» è preferibile a «le ventidue», riservata ai ferrovieri.rnTra governanti inflessibili che lo sculacciano con la spazzola per capelli, autisti che lo scorrazzano per boschi e sagre di paese e zii che gli trasmettono l’amore per la letteratura, Jean cresce come un grande sognatore e un instancabile lettore che legge tutto quello che gli capita tra le mani: i manifesti sui muri, le ricette dei medici, i volantini per strada, da bambino, e Oscar Wilde e Bergson da ragazzo.rnPur riconoscendo di essere nato con una camicia di finissima seta, circondato di privilegi, d’Ormesson è però, soprattutto, figlio del suo tempo, un tempo dominato dal nazionalsocialismo di Hitler e da una guerra che, con i suoi campi di concentramento, i bombardamenti a tappeto, il nucleare, le bugie e i delitti diventa pane quotidiano di una realtà a cui è impossibile sfuggire. -
Finché notte non sia più
All'alba di un nuovo anno, Caterina giunge in Francia dove sua zia Liliana si è stabilita dopo il fatale incontro con un turista francese. Nel borgo, antico come un aratro, sembra che il tempo non calchi mai la mano: campi coltivati a orzo, frutteti per trarvi conserve e marmellate, forni a legna dove cuocere il pane dal sapore acidulo del lievito madre, tutto sembra ubbidire a un placido scorrere degli anni e delle ore. Capelli biondo ruggine e, dipinta sul volto, la bellezza senza compromessi della gioventù, Caterina ha lasciato Roma, con i suoi androni scrostati e le strade chiassose, per sfuggire all'abbraccio soffocante di sua madre e trovare la propria via nel mondo. Conclusi gli studi, ha raggiunto zia Liliana con la prospettiva di un lavoro in un poliambulatorio e l'idea di dare una mano nella conduzione del Liliane Coiffure, un lindo salone di parrucchiera dalle poltroncine viola che la zia ha aperto in quel borgo nel sud della Francia. Un giorno capita nel salone un vecchio signore con una massa scompigliata di capelli e una mano tremante abbandonata lungo la gamba. Si è ferito alla fronte nel tentativo di accorciarsi da solo i capelli, ed è in imbarazzo tra quelle poltroncine viola, i vasi di ranuncoli e le riviste di moda impilate negli angoli. Fuggirebbe, se non fosse per l'accoglienza che gli riserva Caterina, che si prende subito cura di lui. Come due anime che si sfiorano e si riconoscono, Caterina e Delio, il vecchio signore, comprendono all'istante che il filo del destino li unisce. La sera stessa la ragazza riempie una valigia e si stabilisce nel casolare accanto alla casa di Delio. Il vecchio vive solo, circondato da una terra dura, con malerbe che crescono ovunque e cumuli di sterpaglie affastellati lungo i camminamenti dell'orto, quell'orto che sua moglie Teresa coltivava con cura prima che la malattia se la portasse via. Caterina non tarda a capire che un'altra mancanza grava sul cuore malandato del vecchio: Daniele, il figlio che la foto sulla credenza raffigura come un giovane uomo prestante, coi capelli un po' lunghi e un'aria sfrontata, è assente da casa da più di quattro anni. In paese, dove tutti parlano di lui e qualche ragazza lo nomina con il rimpianto di una ex innamorata, si sussurra che una grave offesa l'abbia spinto a rifiutare ogni contatto col padre. Quando, però, dopo una caduta, Delio cede alla vecchiaia e si mette a letto col volto scavato dalla stanchezza della vita, Daniele compare sull'uscio di casa. E Caterina, tormentandosi una ciocca di capelli, lo accoglie con un sorriso di disagio, il cuore impazzito. -
Vita da editore
«Lei non vorrà dirmi che io sono un editore, sic et simpliciter, che prende un autore e lo stampa. Io sono uno sfruttatore degli autori, nel senso morale, accanitissimo». Così scriveva Neri Pozza in una lettera a Eugenio Ferdinando Palmieri che gli aveva spedito una sua raccolta di poesie. E non vi è forse definizione migliore di questa - «uno sfruttatore degli autori, nel senso morale, accanitissimo» - per dare ragione della complessa e affascinante figura di Neri Pozza editore. Colui che nel 1946 fondò a Venezia la casa editrice che porta tuttora il suo nome, lo scopritore di Goffredo Parise che ebbe modo di riunire attorno alla sua creatura i maggiori scrittori, poeti e saggisti del suo tempo (da Gadda a Buzzati, da Montale a Bontempelli, da Diano a Bettini), era un editore particolare che... ""cercava di sfruttare in senso morale"""" i suoi autori. Pozza chiarì il senso di questa sua definizione in un'altra lettera - indirizzata a Primo Mazzolari, il prete partigiano - in cui scrisse: «L'autore deve temere solo di uscire dalla verità». Il carattere morale del lavoro editoriale era, infatti, ai suoi occhi nient'altro che questo: evitare che un autore esca dalla verità, e tradisca in tal modo l'onestà, la sincerità, la «necessità della sua stessa storia di scrittore». Per tener fede a questa idea, Pozza, come dimostra questa raccolta di scritti che riassume esemplarmente la sua attività di editore, non esitò a entrare in competizione coi suoi autori, a rimproverare, stimolare, emendare, suggerire «da artista ad artista», come osò scrivere a Dino Buzzati, mentre l'autore del """"Deserto dei Tartari"""" componeva per la casa editrice """"In quel preciso momento"""". Divisa in tre sezioni, questa raccolta offre una ricognizione critica delle principali collane create da Pozza; mostra una galleria di venticinque ritratti, o storie di autori e collaboratori, con i quali Pozza intrattenne rapporti di lavoro e di amicizia: dall'ebreo Jacchia, suo primo modello di editore, a Antonio Barolini, suo primo autore; da Vittore Gualandi, il suo tipografo preferito, a scrittori e poeti come Bontempelli, Alvaro, Buzzati e Parise, passando per saggisti quali Camerino, Izzo, Magagnato e Baratto; e presenta, infine, un'antologia di lettere in cui compaiono più esplicitamente le idee e i gusti letterari di uno dei maggiori protagonisti della cultura del Novecento."" -
La ragazza in verde
Mostrando una profonda conoscenza del Medio Oriente, delle forze e della posta in gioco, con la sua prosa diretta e potente, La ragazza in verde è piú che un semplice romanzo di guerra. rnÈ l’avventura donchisciottesca di due uomini che vivono una vita intera in attesa di una redenzione.rnrn«Un romanzo che unisce personaggi dalla sensibilità inusuale nella dura realtà del combattimento in guerra» - rnThe Timesrnrn«Miller fa quello che molti ritengono troppo difficile: essere chiaro e preciso raccontando cose mai banali. Perché è uno scrittore di estremo talento e umanità» - rnBooksellersrnrn«Una visione sorprendente e inquietante del Medio Oriente… Un romanzo scritto con intelligenza, compassione e autenticità, da uno scrittore che è già un maestro del suo mestiere» - rnEvening PostrnrnIraq, 1991. La guerra è finita e il soldato Arwood Hobbes, di stanza con un reparto dell’esercito americano incaricato di far rispettare il cessate il fuoco, si annoia a morte. L’operazione Desert Storm non è stata altro che una campagna aerea di un mese contro alcune truppe irachene allo scoperto, seguita da un conflitto di soli quattro giorni. Arwood fa parte del Terzo Squadrone, Secondo reggimento di Cavalleria, in un posto di controllo chiamato Zulu, ai margini della valle dell’Eufrate, vicino Samawa.rnNon c’è niente, laggiú, una vera desolazione. Una pace infinita, soporifera, candida e soffice come le nuvole. È in questo gorgo stagnante di quiete e futilità che un giorno compare al suo cospetto, proveniente dal deserto, Thomas Benton, giornalista del Times, quarantenne che non si è mai distinto per particolari meriti nella sua carriera.rnBenton ottiene da Arwood qualcosa che nessun soldato ligio agli ordini gli avrebbe concesso: il permesso di superare l’avamposto e di dirigersi verso Samawa, sulla cui torre idrica sventola una bandiera scita.rnIl giornalista si è inoltrato da tempo nel villaggio, quando Arwood scorge dapprima gli elicotteri della Guardia Repubblicana aprire il fuoco, con spietata perizia, su Samawa, e poi Benton correre a perdifiato verso il posto di controllo. Il reporter non è solo, con lui c’è una ragazzina vestita di verde, snella, molto giovane d’aspetto. Per riparare all’errore commesso e salvare la pelle ai due fuggiaschi, Arwood decide di andare loro incontro. Una decisione destinata a condizionare l’intero corso della sua esistenza e di quella di Benton. Ventidue anni dopo, nel 2013, il destino vuole che i due uomini, consumati dal senso di colpa, guardino entrambi le immagini in tv dell’ennesima fuga di profughi dalla Siria verso il Kurdistan, e assistano entrambi a un attacco di mortaio sulla folla, tra cui spicca, come uno smeraldo sullo sfondo pallido della terra, una ragazzina con un vestito verde. La sorte ha, con tutta evidenza, voluto offrire loro una seconda possibilità per riscattarsi dagli errori del passato.rnMostrando una profonda conoscenza del Medio Oriente, delle forze e della posta in gioco, con la sua prosa diretta e potente, La ragazza in verde è piú che un semplice romanzo di guerra. rnÈ l’avventura donchisciottesca di due uomini che vivono una vita intera in attesa di una redenzione. -
Il male oscuro
Apparso per la prima volta nel 1964, Il male oscuro ottenne subito un grande successo, vincendo nello stesso anno il Premio Viareggio e il Premio Campiello. L’apprezzamento critico che ne seguí, tuttavia, non colse forse pienamente la grandezza di quest’opera e della figura di Giuseppe Berto nel panorama della letteratura italiana del secondo Novecento.«Ogni volta che aprivo e leggevo venti o trenta pagine de Il male oscuro, avrei voluto che questo libro non avesse a che fare con me, con le mie sofferenze, le mie fobie, le gabbie del mio passato, il mio tempo, avrei voluto che fosse un libro datato, lontano, un reperto del Novecento, e invece ogni volta mi ritrovavo coinvolto dalla sua sincerità senza scampo» - Christian RaimoCome sovente accade, questo romanzo e lo stesso Berto conoscono forse soltanto oggi quella che Benjamin definiva «l’ora della leggibilità». Comparato con le opere di quell’epoca caratterizzata da una società in piena espansione, Il male oscuro, come nota Emanuele Trevi nello scritto che accompagna questa nuova edizione, appare come «lo specchio, frantumato ma straordinariamente nitido, di un intero mondo, di un’epoca storica», un capolavoro assoluto dotato di «un’autorevolezza paradossale, che si basa sulla travolgente energia degli stati d’animo».rnCome i grandi libri, il romanzo presuppone una genealogia. Berto ha ammesso piú volte il suo debito con La coscienza di Zeno di Svevo e La cognizione del dolore di Gadda, dalla quale ricavò il titolo stesso del suo libro. Il male oscuro, tuttavia, segna una svolta fondamentale rispetto a queste opere precorritrici: non descrive semplicemente una nevrosi, ma la mima e la incarna. Il suo linguaggio è la manifestazione stessa del male, «l’epifania tragicomica della sua oscurità» (Trevi). -
Triste America. Il vero volto degli Stati Uniti
L'America riempie il nostro immaginario come nessun altro paese. Non vi è giorno in cui, in Europa e in altri luoghi del mondo, non venga celebrata la più grande democrazia del mondo, il paese della libertà dove tutto è possibile, la terra di principi dove tutti sono uguali davanti alla legge. Ma le cose stanno davvero così, oggi, a distanza di secoli da quel 4 luglio 1776 in cui nacque questo grande paese? Michel Floquet ha attraversato in lungo e in largo gli Stati Uniti d'America e, armato di fonti, testimonianze, documenti, ha scritto un libro che è il ritratto di un paese sull'orlo del disastro. I più ricchi, negli Stati Uniti, non sono l'1 ma lo 0,1 per cento della popolazione. Centosessantamila famiglie circa, che detengono da sole quasi un quarto della ricchezza nazionale. Una casta di nababbi che è unica al mondo, e ha equivalenti soltanto all'inizio del secolo scorso. Secondo il principio tutto americano «Meno pago le tasse, più sono ricco e più posso dare», i ricchi pagano tra il 15 e il 20 per cento delle tasse, mentre i loro dipendenti e i salariati in generale tra il 25 e il 30 per cento. Ogni giorno, nella vita quotidiana del paese, manca un milione e mezzo di uomini neri. Sono in prigione o morti prematuramente, per lo più per omicidio. Nella fascia d'età tra i venticinque e i cinquantaquattro anni manca addirittura un uomo su sei. È praticamente il tasso di perdite di un conflitto. In America, un adulto su cento si trova in carcere. Un prigioniero su quattro, nel mondo, è americano. Nessuno fa meglio di così. Né la Cina, né la Corea del Nord e neppure l'Iran. -
Il militante
Con la forza di una scrittura ammaliante e di una trama serrata, in cui party con droga e prostitute e roulette russa segnano lo scorrere degli eventi, Il militante costituisce una splendida conferma del talento di Viet Thanh Nguyen nel coniugare la suspense della spy story con il grande romanzo di idee.«Benvenuti nel mondo a tinte forti del Militante, in uscita nell'ottima traduzione di Luca Briasco: brillantissimo, sguaiatissimo e violentissimo seguito (pur indipendente) del Premio Pulitzer Il simpatizzante che ha fatto di Viet Thanh Nguyen una delle voci più dirompenti della narrativa contemporanea» - Livia Manera, la Letturarn«Un gioco di specchi che capovolge il modo in cui i bianchi guardano il mondo» - Melania Mazzucco, Robinsonrn«Il militante è molte cose. Un thriller letterario rovente travestito da bruciante romanzo di idee. Un’opera in cui redenzione e dannazione si offrono allo sguardo. Un esame imperturbabile dei pericoli della fede e, nello stesso tempo, della necessità di credere. Un seguito rispettoso dell’originale e poi in grado di superarlo. Un capolavoro». - Marlon Jamesrnrn«Un libro feroce... Esilarante, sovversivo, filosofico e allucinatorio, molto piú di un seguito del primo, un necessario nuovo capitolo di un brillante, imponente corpus anticoloniale». - Tommy OrangeProtagonista del nuovo romanzo è ancora il giovane Capitano dell’esercito sudvietnamita che, nel Simpatizzante, dopo la caduta di Saigon nel 1975, ripara negli Stati Uniti e, all’insaputa dell’amico e fratello di sangue Bon e del generale capo della Polizia Nazionale sudvietnamita, invia i suoi rapporti a Man, suo addestratore tra le fila Vietcong.rnTrascorsi gli anni americani nella condizione di estraneità e invisibilità propria di un rifugiato e di una spia comunista, agli inizi degli anni Ottanta, con in tasca il passaporto di un certo Vo Danh, il simpatizzante sbarca a Parigi in compagnia dell’inseparabile Bon. La Francia, il paese della lunga dominazione coloniale in Indocina, ha concesso ai due fratelli di sangue l’agognato diritto d’asilo. È l’occasione per entrambi di lasciarsi alle spalle le dolorose ferite del passato. Un’occasione da coltivare attraverso la piú pura delle attività capitalistiche, offerta dal Boss vietnamita trasferitosi dal campo di Palau Galang a Parigi: lo spaccio e il commercio di droga. Per Bon rappresenta la possibilità di smettere d’essere un ospite sgradito. Per il simpatizzante, che ha trascorso buona parte della sua vita a credere in qualcosa nel cui cuore non c’era che il nulla, semplicemente un’altra possibilità data al nulla. Un nulla, questa volta, che rende Parigi una città dal fascino torbido e che fa degli intellettuali engagés della sinistra francese frequentati a casa della “zia” vietnamita, cui Man l’ha indirizzato, nient’altro che una fedele clientela delle sostanze del Boss. Un nulla che rende, infine, arduo realizzare il compito che alberga da sempre nell’animo del simpatizzante: la riconciliazione tra i fratelli di sangue di un tempo, Bon e Man, che la Storia, con le sue crudeltà e le sue cieche passioni e speranze, ha collocato su fronti opposti. -
Anonimo veneziano
Un fortunato testo teatrale prima e poi in uno straordinario romanzo breve che conquistò i suoi lettori, un autentico gioiello.rnrn«Sullo sfondo di una Venezia onirica si consumano gli ultimi giorni di un musicista che richiama a sé la donna che è stata il grande amore della sua vita… Una struggente riflessione sull’impossibilità della coppia.» - la Repubblicarn«Posso dire che in vita mia non avevo mai lavorato tanto per scrivere tanto poco, né mi ero mai cosí abbandonato al tormentoso piacere di permettere ai pensieri di cercarsi a lungo le parole piú appropriate.» - Giuseppe Bertornrn«Un piccolo capolavoro.» - Elio Chinolrnrnrn«Si fatica a credere che siano passati oltre quarant'anni da quando Anonimo veneziano di Guiseppe Berto fu pubblicato, perché il libro scintilla di freschezza, e gronda di dolore.» - Ida Bozzi,rn La Lettura - Corriere della Serarnrn«Nato quasi per caso da un suggerimento di Enrico Maria Salerno, che da un proprio soggetto voleva trarre il suo primo film, Anonimo veneziano conquistò l’entusiasmo di Giuseppe Berto che si impegnò a scriverne i dialoghi durante un lungo soggiorno a Cortina d’Ampezzo dopo il travolgente successo del Male oscuro, spinto all’inizio, come in generale quando lavorava per il cinema, piú da ragioni “gastronomiche” come avrebbe detto Brecht, che da una maturata ispirazione, e, invece, poi convinto a lavorarci su per mesi e anni, fino a trasformarli in un fortunato testo teatrale prima e poi in uno straordinario romanzo breve che conquistò i suoi lettori, un autentico gioiello, “un piccolo capolavoro” come ha scritto Elio Chinol, che arricchisce e completa la serie dei suoi libri collocandosi senza dubbio tra i “migliori” […]rnIn un testo che nulla concede all’ottimismo della ragione, al moralismo di un eterno riscatto, Berto, collocando il suo personaggio di fronte alla morte, si manifesta davvero come “un neoromantico” – tale si era già descritto nell’Inconsapevole approccio (1965) –, che ha bisogno soltanto o soprattutto di una donna la quale per amore sia disponibile a dargli una mano a vincere “la paura della paura” […].rnCosí Anonimo veneziano conquista il lettore con “la dignità di un piccolo classico” e resiste nella memoria incancellabile». (dall’introduzione di Cesare De Michelis) -
Il cielo è rosso
Il cielo è rosso racconta le peripezie di quattro ragazzi, tra i quindici e i diciassette anni, in una città distrutta dai bombardamenti alleati. Quattro ragazzi resi orfani dalle traversie della vita e dalla violenza del conflitto.rnrn«Berto ha un modo di raggiungere l’oggettività che sta tra l’indifferente e il trasognato. Quel fluttuare tra le cose che succedono e che, proprio come chi le contempla e attraversa, non si tengono insieme, ha il corrispettivo nello stile: la sintassi di Berto morbida, sciolta, veloce, ci restituisce la sua maniera di stare al mondo» – Domenico ScarparnrnNel 1944 Berto è «prigioniero di guerra» a Hereford nel Texas, in uno di quei campi americani in cui sono reclusi tutti quelli che si rifiutano di dichiararsi «prigionieri collaboratori». Tra coloro che si aggirano nelle baracche a Hereford figurano futuri rinomati scrittori come Dante Troisi e Gaetano Tumiati, che affascina non poco Berto con le sue letture di Faulkner, Hemingway e Steinbeck, e pittori come Alberto Burri. Nel campo nascono, e circolano in copia unica, varie riviste letterarie. Al principio dell'estate '44, mosso da «un senso di acuta responsabilità» per la parte di colpa da lui avuta nella catastrofe della guerra, Berto decide di scrivere un romanzo intitolato ""La perduta gente"""". Rientrato in Italia nel febbraio del '46, sottopone il manoscritto a Giovanni Comisso che, entusiasta, lo spedisce subito a Leo Longanesi, accompagnandolo con una lettera in cui non esita ad affermare che il romanzo «rappresenta una svolta nella letteratura italiana». L'opera esce da Longanesi negli ultimissimi giorni del 1946 con il titolo """"Il cielo è rosso"""", un'espressione che l'editore prende dai Vangeli. """"Il cielo è rosso"""" racconta le peripezie di quattro ragazzi, tra i quindici e i diciassette anni, in una città distrutta dai bombardamenti alleati. Quattro ragazzi resi orfani dalle traversie della vita e dalla violenza del conflitto. Carla, figlia di una serva, e Giulia, figlia di una prostituta, sono cugine, cresciute nella stessa casa. Giulia è timida, di salute cagionevole. Carla al contrario è disinvolta, sicura di sé, anche se di «umori volubili, a volte perversi altre volte malinconici» (Domenico Scarpa). Si prostituisce per vivere, ed è innamorata di Tullio, il piú adulto con i suoi diciassette anni, a capo di una banda di ragazzi dedita a furti e traffici vari. Una notte Tullio incontra Daniele, appena fuggito da un seminario di Roma e senza piú un luogo dove andare, dopo che i bombardamenti hanno ucciso i genitori e demolito la loro casa. I quattro cercano di sfuggire alla miseria, alla fame e alla paura, ma, come tutti coloro cui è toccata in sorte «una parte del male universale», sanno di non potere «piú essere gli stessi di prima», poiché si sono «smarriti nella grande guerra» senza piú alcuna possibilità di ritrovarsi."" -
La cosa buffa
In questo spietato romanzo, Berto ci consegna un personaggio difficile da dimenticare, un antieroe leggero e tormentato, ostinato e volubile: indagando magistralmente, con ferocia e ironia, le contraddizioni dell'animo umano.Antonio, il protagonista de La cosa buffa di Giuseppe Berto, pubblicato nel 1966, due anni dopo Il male oscuro, è convinto che il dubitare delle donne sia il modo migliore per vivere i sentimenti. Nello scenario di una Venezia minore, preziosa, lontana dai flussi turistici e autentica, Berto racconta gli amori di Antonio, un personaggio che per la verità gli somiglia molto. Il protagonista di questo libro è un provinciale, viene da un paesino dell'entroterra, è uno studente universitario fuori corso, di umili origini, e trascorre i suoi giorni a ragionare di continuo di sé stesso, a rivedere infinite volte le sue decisioni, anche le più insignificanti. Antonio si innamora di Maria: una ragazza ricca, figlia di un piccolo armatore di Venezia, incontrata per caso alle Zattere. Lei ha poco meno di vent'anni, è timida, senza esperienza, ma è subito coinvolta da un sentimento che neanche immaginava di vivere. E Antonio, pochi giorni dopo che si sono conosciuti, progetta già il loro matrimonio, perché il suo desiderio è quello di vivere la sua intera vita con Maria. Ma i suoi modi incoerenti, fatti di trasporto passionale e di continui ripensamenti, sommati all'opposizione della famiglia di lei, lo costringono a lasciarla. Ma il dolore della separazione passa in fretta. E Antonio finisce per dedicarsi, assai alla svelta, a un'altra donna conosciuta in un caffè veneziano: Marica, ungherese di costumi assai dubbi per non dire facili. Anche nei suoi con - fronti, il giovane studente ha una folgorazione. Dimenticata Maria, sarà Marica la donna da sposare, con la quale progettare una vita umile eppure soddisfacente. La ragazza ungherese però lo lascerà poco dopo aver ricevuto un costoso anello di fidanzamento e si rivelerà ben diversa da quella che lui immaginava. -
La gloria
La storia di un tradimento compiuto per amore, in intima complicità con la vittima, duemila anni fa. Un romanzo che riflette le contraddizioni, la violenza, il disperato bisogno di trascendenza dei nostri giorni e della nostra generazione.rnrn«Un’opera di grande rilevanza stilistica e tematica […] un libro arduo e nettissimo, frutto di una continua rilettura delle “Scritture dell’Eterno”» - Silvio Perrellarn rn rn«Nella vicenda di Giuda che racconta al mondo il gesto di tradire Cristo e nello stesso tempo domanda compassione, pietà, rispetto, comprensione, Berto […] ripercorre l’esperienza di faticosa solitudine a cui sono chiamati tutti gli uomini sin dall’alba dei tempi, anche i non credenti, posti di fronte al mistero del divino e del soprannaturale» - Giuseppe Lupo, L’Avvenirern rn rn«Berto è stato il piú grande scrittore della seconda parte del Novecento italiano» - Cesare De MichelisrnrnE se Giuda Iscariota non fosse il peggior traditore che sia mai esistito, ma il più santo tra i santi? Attraverso le pagine de «La gloria» conosciamo un Giuda giovane, forte e coraggioso, che interroga e cerca con impazienza «qualche barlume di rivelazione, segni sottili» che gli indichino la presenza del Messia. Come Giuda, anche Gesù sbaglia, si arrabbia, è umano, e gli apostoli non sono uomini soggiogati dalla fede ma affascinati dall'uomo, dal suo ascendente, dalla speranza che egli sia chi dice di essere, in mezzo a una moltitudine di altri presunti redentori. Giuda è l'uomo che vive per la morte, la propria e quella di Gesù, che lo accoglie con il compito pubblico di tesoriere, ma con quello segreto di tradirlo, quando dovrà compiersi il suo destino. Ciò che afferma è che la morte è l'essenza stessa del Cristianesimo e che «all'origine dei prodigi c'è sempre il male». Giuda compie con il tradimento un ultimo dovere d'amore, pagando con la dannazione un atto per cui era stato predestinato dalle Scritture. Ecco il Giuda di Giuseppe Berto: un martire condannato all'eterna infamia con la sola colpa di essere stato scelto in funzione di un tradimento da compiersi affinché la Gloria di Dio potesse realizzarsi. -
Shantaram
Edizione speciale.rnNel 1978, il giovane studente di filosofia e attivista politico Greg Roberts viene condannato a 19 anni di prigione per una serie di rapine a mano armata. È diventato eroinomane dopo la separazione dalla moglie e la morte della loro bambina. Ma gli anni che seguono vedranno Greg scappare da una prigione di massima sicurezza, vagare per anni per l'Australia come ricercato, vivere in nove paesi differenti, attraversarne quaranta, fare rapine, allestire a Bombay un ospedale per indigenti, recitare nei film di Bollywood, stringere relazioni con la mafia indiana, partire per due guerre, in Afghanistan e in Pakistan, tra le fila dei combattenti islamici, tornare in Australia a scontare la sua pena. E raccontare la sua vita in un romanzo epico di più di mille pagine. -
Guerra in camicia nera
Berto ritorna sugli eventi del 1942-43 nella forma propria dell’invenzione romanzesca, tuttavia i fatti da lui narrati erano stati da lui realmente vissuti.rn«Nulla di ciò che è umano o letterario mi è alieno: questa è l’acquisizione che Berto deve a Guerra in camicia nera, un libro che realmente è la premessa – necessaria ma anche logica, se consideriamo l’intera sua parabola di scrittore – per Il male oscuro». - Domenico ScarparnA me piace molto. È sotto forma di diario e succede in Africa. Si capisce bene cos’è stata la guerra in Africa, cos’è una guerra persa, si capisce perfino cos’era il fascismornCosí Natalia Ginzburg, in una lettera a Italo Calvino del 1954, sollecitò la pubblicazione di Guerra in camicia nera presso la casa editrice Einaudi, per conto della quale lavorava. Un giudizio che coglieva perfettamente l’intento dell’opera di Berto: narrare della «guerra persa», della guerra in camicia nera, per non rimuovere dalla memoria collettiva il destino di una generazione condotta alla disfatta dalla tirannia.rnIl romanzo fu pubblicato nel 1955 non da Einaudi, ma da Garzanti, e il giudizio della Ginzburg, nella società letteraria del tempo, fu largamente minoritario. Come nota Domenico Scarpa nell’introduzione a questa edizione del romanzo, era prevedibile che le cose andassero cosí, «qualsiasi cosa raccontasse, qualsiasi argomentazione sviluppasse» il libro del futuro autore del Male oscuro.rnBerto ritorna sugli eventi del 1942-43 nella forma propria dell’invenzione romanzesca, tuttavia i fatti da lui narrati erano stati da lui realmente vissuti. Nel 1942 raggiunse Misurata come combattente volontario del vi Battaglione Camicie Nere Africa Settentrionale. Dopo El Alamein e la rovinosa battaglia di El Hamma in Tunisia, si uní al x Battaglione Camicie Nere «m», col quale passò gli ultimi giorni della guerra in Africa, fino alla cattura avvenuta il 13 maggio 1943. Che questa tragica vicenda di combattente in camicia nera non fosse sepolta nell’armadio della storia, ma riaffiorasse in un’opera narrativa, poteva apparire, nel 1955, inopportuno a un paese desideroso di lasciarsi definitivamente alle spalle il passato.rnLa società letteraria del tempo, a eccezione della Ginzburg, di Calvino e di pochi altri, non si avvide tuttavia che, ritornando sulla sua storia di soldato in camicia nera, Berto, con le armi dell’ironia e dell’umorismo – «l’unica via che io potessi seguire per liberarmi dalla retorica» dichiarò in un’intervista a Vigorelli del 1964 –, avanzava una feroce, dissacrante denuncia della «faziosità, illiberalità, violenza» del fascismo.rnCome scrive Domenico Scarpa nell’introduzione, non vi sono infatti pagine migliori di Guerra in camicia nera in cui ci sia dato assistere, quasi in presa diretta, alla vita quotidiana del fascismo e dei suoi uomini, a quel «clima di formalismi superficiali e di complicità incistate, di furberie piccine in mezzo a cose troppo grandi, di ottusità corporativa e di ordini e contrordini che arrivano a pioggia e che sono ugualmente insensati, ma soprattutto di ladruncoleria e di burocratismo sudaticcio, stazzonato, imbrillantinato, cialtrone». -
Alla fine della notte
Il nuovo romanzo dell'autore de L'arte di ascoltare i battiti del cuorernrn«Sapientemente scritto, abilmente costruito! Un romanzo che aiuta a capire la Cina e ispira il cuore e la mente» - Für Siernrn«Una storia profondamente umana, qualcosa che potrebbe accadere ovunque e a chiunque. Toccante, commovente, ma anche pieno di speranza» - Annemarie Stoltenberg, NDR KulturrnrnIl soggiorno nella provincia di Sichuan di Paul e Christine si è rapidamente trasformato in un incubo: il figlio di quattro anni, David, è stato rapito, gettandoli nella disperazione. Anche se David, attraverso circostanze fortunate, riesce a tornare da loro, i rapitori non si arrendono e fanno di tutto per sottrarlo di nuovo alla sua famiglia. L'unico posto sicuro è l'ambasciata americana a Pechino. Ma le stazioni, le strade e gli aeroporti sono controllati e dei poliziotti corrotti non ci si può fidare. Senza aiuto, Paul e Christine non hanno alcuna possibilità di arrivarci. Chi sarà disposto a dar loro una mano, anche a costo di rischiare la propria vita? Ma, soprattutto, di chi si possono davvero fidare Paul e Christine? -
Gli atti di mia madre
Libro struggente sul mistero di una vita smarrita in una battaglia di cui restano soltanto le ceneri, Gli atti di mia madre è stato accolto al suo apparire come una delle opere fondamentali della letteratura ungherese contemporanea.rn«Solo un romanzo così poliedrico, sfaccettato, come questo dell'ungherese András Forgách, Gli atti di mia madre, poteva restituire, dell'eccezionale protagoista, la forza enigmatica, l'affascinante ambivalenza, il pericoloso appeal tipico di una divinità bifronte.» - Alessandra Ladicicco, La Lettura - Corriere della Serarnrn«Era una donna eccezionalmente energica, ma non autoritaria. Nella sua personalità si fondevano armonicamente la signorilità e l’amore per il lavoro. Aveva un nome dalla musicalità del Vecchio testamento: Avi-Shaul Bruria… Qui e ora, voglio solo comprendere mia madre.»rnrnBruria, giovane donna israeliana cresciuta in una famiglia permeata di ineffabili ideali politici, viene travolta dall'amore per un agente segreto ungherese che lavora a Londra, sotto copertura, come giornalista. Dà alla luce tre figli che svilupperanno grandi talenti artistici, ma convinzioni politiche diverse dal marxismo-leninismo in cui lei crede fermamente. Quando l'agente segreto è costretto a uscire dal gioco che lo ha di fatto consegnato alle tenebre della depressione e a inguaribili manie di persecuzione, Bruria decide di offrirsi per sostituirlo, tenacemente convinta della giustezza della causa da servire. Ma la vita la mette davanti a sfide durissime e lei deve scegliere tra gli ideali di cui si è nutrita, e ai quali si è sacrificata, e i suoi figli. A condurre il filo della narrazione è proprio uno di loro che, a 62 anni, viene convocato presso l'Archivio storico dei Servizi per la sicurezza di Stato e scopre la vera identità dei suoi genitori. -
Ombre dal fondo. Con DVD video
«Il giornalismo è diventato, tragico paradosso, il contrario di quello che vorrei: serve a distogliere il vostro sguardo». Cosí scrive, nelle pagine di questo libro, Domenico Quirico.rnrn«Ho pensato a Domenico Quirico come voce e volto di questo film quando era prigioniero in Siria. E non ho smesso di farlo quando è stato liberato. La personalità di Quirico è unica nel giornalismo italiano» - rnPaola Piacenza, regista di Ombre dal fondornrn«Il giornalismo è diventato, tragico paradosso, il contrario di quello che vorrei: serve a distogliere il vostro sguardo». Cosí scrive, nelle pagine di questo libro, Domenico Quirico.rnConfessione intima, condotta attraverso una scrittura impeccabile e le emozionanti immagini del film di Paola Piacenza che accompagna il testo, e da cui è scaturita questa pubblicazione, Ombre dal fondo è la storia di un reporter che ci invita costantemente a non distogliere lo sguardo.rnDal fronte russo-ucraino ai luoghi della sua prigionia in Siria, «dove tutto è cominciato e tutto è finito », Quirico ci conduce nel cuore di tenebra della nostra epoca, dove impera, ineliminabile, smisurato, l’orrore della guerra. Un orrore che, attraverso le sue numerose apparizioni e figure, non lascia integro chi lo narra, poiché si insinua come una crepa in chi ha visto in faccia il Male.rnTuttavia, è proprio questa crepa che permette di scrivere con autenticità, e di ricondurre il giornalismo a quella che dovrebbe sempre essere la sua piú profonda natura: la narrazione quotidiana della «condizione umana». -
La scomparsa di Adele Bedeau
Magistrale thriller ambientato nella campagna francese.rnrn«Un giallo elegante e d’atmosfera con un colpo di scena sorprendente… godibile come un romanzo di Simenon» – NPRrn«Un romanzo di grande invenzione, tanto sottile quanto scioccante» – Ian McGuirernrnAl Restaurant de la Cloche, nell’anonima cittadina di Saint-Louis, al confine tra la Francia e la Svizzera, è una sera come tante: Pasteur, il proprietario, si è versato un pastis, a significare che la cucina è ormai chiusa; Marie, sua moglie, è intenta a sistemare le posate e Adèle, la cameriera, serve il caffè agli ultimi due commensali e comincia a pulire le tovaglie cerate sugli altri tavoli.rnDiciannove anni, le labbra piene e la carnagione olivastra, Adèle lavora al Restaurant de la Cloche da cinque o sei mesi ed è un tipetto scontroso, poco incline a dare confidenza ai clienti abituali, soprattutto a Manfred Baumann che ogni sera, seduto al solito posto, la segue incessantemente con lo sguardo, scrutando, furtivo, il pizzo del reggiseno che si intravede dalla camicetta, o la gonna che si solleva lungo le gambe quando la ragazza si abbassa per raccogliere le briciole.rnDirettore di banca dall’aspetto ordinario, Manfred è un solitario, un uomo goffo e sfuggente, capace di mettere a disagio chiunque si trovi in sua presenza e, perciò, guardato con inquietudine e sospetto dagli altri avventori del locale.rnQuando un giorno, senza spiegazioni, Adèle svanisce nel nulla, in cima alla lista dei probabili sospettati non può che figurare il nome di Manfred Baumann.rnA indagare sul caso viene chiamato l’ispettore Gorski, della polizia locale. Sulla cinquantina, ben piazzato e di altezza media, Gorski è perseguitato dall’amara consapevolezza di non essere riuscito a risolvere il suo primo caso di omicidio, quello di una giovane donna ritrovata strangolata in un bosco, vent’anni prima. Il detective si mette perciò a scandagliare la vita di Manfred con solerte meticolosità, per non lasciarsi sfuggire nessun dettaglio.rnMagistrale thriller ambientato nella campagna francese, sorto dalla sofisticata penna dell’autore di Progetto di sangue, La scomparsa di Adèle Bedeau, «ha tutte le caratteristiche di un classico di culto» (Louise Hutcheson). -
Il nostro comune nemico. Considerazioni sulla fine dei giorni tranquilli
«Corri compagno, il vecchio mondo è dietro di te»: è la parola d’ordine del Maggio’68. Uno slogan che traduce perfettamente l’essenza stessa della sinistra progressista: l’idea che la lotta consista nel lasciarsi sempre alle spalle il vecchio mondo in quanto tale e correre incontro al nuovo.rnrn«Da tempo i grandi partiti del blocco liberale […]rnnon hanno più altro ideale concreto da proporrernse non la dissoluzione continua e sistematicarndei modi di vivere specifici delle classi popolari stessern– e la dissoluzione delle loro ultime conquiste sociali –rnnel moto perpetuo della crescita globalizzata,rnsia essa ridipinta di verde o coi colorirndello sviluppo sostenibile, della transizione energeticarne della rivoluzione digitale».rnrnrnÈ tuttavia questa la prospettiva propria del socialismo? Abbracciare il mondo nuovo in quanto tale? Il mondo, ad esempio, che la sinistra liberale odierna ha già palesemente fatto suo, quello del riscaldamento globale, di Goldman Sachs della Silicon Valley? Jean-Claude Michéa prova a rispondere a questi interrogativi nelle pagine che seguono composte da scritti e interviste risalenti a periodi differenti.rnIl primo nume tutelare che alimenta il pensiero di Michéa è, naturalmente, Karl Marx, precisamente il Marx del Capitale che svela i meccanismi della società moderna per attrezzare la lotta dei lavoratori non per abbracciare il mondo nuovo, ma esattamente per combatterlo, in quanto mondo che annuncia un’alienazione e una schiavitù senza pari.rnTra i numi tutelari di Michéa figurano, tra gli altri, anche l’Orwell della common decency, Marcel Mauss con la sua teoria del dono e Guy Debord con la sua critica della società dello spettacolo e della «dissoluzione di tutti i legami sociali». Numi chiamati tutti a sostenere «l’urgenza di tornare al tesoro perduto della critica socialista originaria, perché […] oggi, al tempo della globalizzazione e del liberismo trionfante, ciò che minaccia di distruggere la natura e l’umanità stessa […] è innanzitutto il continuo e dissennato perseguimento del tornaconto capitalistico».rnIl nostro comune nemico, da questo punto di vista, non è affatto, per Michéa, il mondo vecchio che, per dirla con l’ironia propria di Orwell, non era fatto soltanto di guerra, nazionalismo e religione, ma anche di professori di greco, poeti e cavalli, ma il nuovo ordine della libertà del profitto, quella libertà che si impone quotidianamente attraverso il discorso retorico dei media e che, come scriveva Debord, si è ormai «costretti ad amare». -
Invito a cena
Undici storie mirabilmente collegate tra di loro, molte delle quali pubblicate per la prima volta su The New Yorker, emozionanti, originali e comiche, che fotografano momenti di svolta, in positivo e negativo, dell’uomo e della donna di oggirn«Traboccante, divertente, intelligente e dinamico. Ferris è un candidato assolutamente degno per il Booker Prize o per qualsiasi altro importante premio.» - Janet Maslin, New York Timesrnrn«È un piacere osservare come questo scrittore spazi, con abilità, dai registri ampiamente giocosi della commedia a un’autentica profondità spirituale.» - Wall Street Journalrnrnrn«Il sentimento della vita di Ferris appare tragico, ma lo scrittore riesce a vederne gli elementi buffi e ironici: la possibile salvezza dalla disperazione è affidata proprio al mistero che ci sorprende ogni giorno, consentendoci di ridere delle nostre miserie» – Antonio Monda, Robinsonrnrn«I protagonisti di questi racconti in bilico tra commedia e tragedia, illuminati da dialoghi corrosivi, svolte inattese ed epifanie, tendono a dividersi tra giovani di moderato successo che non hanno capito niente, tipi scialbi che si compiacciono delle proprie limitazioni e insoddisfatti cronici, convinti che gli altri stiano sempre meglio di loro» – La LetturarnrnLe moderne tribolazioni del matrimonio, l’ambizione e la paura di cadere in tentazione, la solitudine e il tentativo di superare il proprio isolamento, l’amore vissuto sognato o mai nato. Tutte esplorate attraverso la prosa dinamica e la feroce satira che hanno reso Ferris uno dei più acclamati romanzieri dei giorni nostri. Ognuna di queste storie si addentra nelle incomprensioni, spesso esilaranti, che accadono tra gli sconosciuti e gli amanti, e che trasformano le vite ordinarie in vite straordinarie. Ferris mostra a quali lunghezze viviamo per comprendere il significato umano dal nostro tempo sulla terra, uno sforzo sempre più disperato nella direzione della redenzione. -
Il figlio prediletto
Candidato al Premio Strega 2018rnDue storie di resistenza e ribellione ai pregiudizi magistralmente intrecciate tra la Calabria e l’Inghilterra degli anni Settanta e dei giorni nostri.rnUn romanzo intenso, commovente, di feroce malinconia.rn«C'è un filo che lega Annina allo zio Nunzio, scomparso dalla memoria famigliare per la colpa di essere omosessuale. E dai codici nella 'ndrina cerca di fuggire la ragazza. Romanzo su un Mezzogiorno arcaico dove la speranza non muore mai» - Robinson, La RepubblicarnrnÈ una sera di giugno del 1970 in un piccolo paese della Calabria, Nunzio e Antonio hanno vent’anni e si amano, in segreto, da due mesi. Il loro amore si consuma dentro la vecchia Fiat del padre di Antonio, parcheggiata in uno spiazzo abbandonato. Ma, proprio quella notte d’estate, tre uomini incappucciati e armati trascinano Antonio fuori dall’auto, colpendolo fino a quando il giovane non giace a faccia in giù e a braccia aperte, come un Cristo in croce.rnTre giorni dopo Nunzio Lo Cascio sparisce dal paese, messo su un treno che da Reggio Calabria lo conduce lontano, a Londra. Il mondo, all’improvviso, gli ha mostrato il volto più feroce, quello di un padre e due fratelli che «gli hanno spezzato le ossa a una a una» per punirlo del suo “peccato”. Nulla sembra avere più senso per il ragazzo: la fiducia negli uomini, la speranza di un futuro, la sua stessa identità. Di lui rimane soltanto la foto del campionato del ’69, appesa nella pescheria dei genitori, che lo ritrae con tutta la squadra sul campo dopo la vittoria, promessa mancata del calcio.rnA interrogarsi sulla vita di Nunzio è anni dopo sua nipote Annina, che sente di avere con quello zio mai conosciuto, di cui nessuno in famiglia parla volentieri, inspiegabili affinità. Anche Annina, sebbene in modo diverso, si trova a combattere con un padre violento e prevaricatore e con la stessa realtà chiusa del paese, in cui una ragazza non ha altre possibilità che essere una «femmina obbediente». E, come Nunzio, scoprirà la dolorosa necessità di riprendersi il mondo, ribellarsi ai pregiudizi e lottare per la propria libertà.rnRomanzo di feroce malinconia, capace di penetrare nelle pieghe più riposte dell’animo umano, e di fare emergere con forza la disperazione e la speranza, la paura e il desideriodi riscatto dei suoi personaggi, Il figlio prediletto è una splendida conferma del talento di Angela Nanetti.