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All'ombra delle palme tagliate
Queste poesie cantano l'entroterra ligure, un tempo cattedrale di ulivi. Ora a chi fatica su queste terre viene a mancare persino l'identità di sentirsi contadino. Queste poesie sono racconti, sono dialoghi tra chi se n'è andato, e torna, e chi resta a mordere la vita, come lo fa l'umidità di fondovalle. Non c'è luce e quando per caso da qualche costone si vede il mare è una perdita di tempo perché i lavori restano da fare. -
Libretto di transito
Libretto di transito di Franca Mancinelli funziona come un resoconto di viaggio attraverso territori onirici: mondi prossimi a sparire e atmosfere eteree fanno da specchio deformante ai gesti e agli accadimenti più banali. Per il tramite di una messa a punto continua della pronuncia del mondo, allusività e precisione, densità ed evanescenza si corrispondono e si integrano. A mezza strada tra desiderio e rinuncia, tra possibilità destinate a estinguersi e compiutezza assoluta, Mancinelli volge in musica anche la quotidianità più liminare e inappariscente. -
Distacco del vitreo
Spigoloso e duro tanto nella lingua quanto nei contenuti, Distacco del vitreo ci dice da subito di un manque, di una minaccia: le solitudini, incontrandosi, non si annullano ma si sommano, in un'intimità cattiva. Nessuno è protetto, ognuno è esposto al rischio biologico dei giorni che passano. Dopo aver attraversato la parte più terribile di noi, in extremis c'è il fissaggio di un istante di rara chiarezza e comprensione: l'uomo interiore ribalta in avanti, una verità è colta con occhi finalmente nuovi. -
Nomi propri
Claudio Pasi mette in versi - a un tempo regolari e mossi - morceaux di vite a noi prossime, esperite fino alla resa più completa e dolorosa. L'autore tocca il nervo che pulsa, anche quando fa più male; e attinge, a motivo di risarcimento, la «celeste dote» presupposta dal titolo: chi temevamo di aver perduto ci è qui restituito nella sua forma più propria e definitiva. -
Antologia essenziale dei poeti del Belgio francofono. Un esperimento (1835-2015)-Anthologie essentielle de la poésie francophone de Belgique. Une expérience
Questa antologia seleziona ventuno testi, tra Waterloo (1835) di Joseph Grandgagnage, nato a Namur nel 1797, e Ce Monde (2015) di Jan Baetens, nato a Sint-Niklaas (tra Anversa e Gand) nel 1957, ponendo il lettore di fronte a generazioni di autori che corrono per 160 anni e nutrono 180 anni di poesia belga di lingua francofona. -
Un paese di soli guardiani
"Un paese di soli guardiani"""" capovolge la distopia in utopia. E ciò per il tramite di un'ambivalenza: guardiano vale 'aguzzino', 'sbirro', ma anche 'custode', 'scorta'. Come Porfirij Petrovic: il giudice istruttore di """"Delitto e castigo"""" tiene l'omicida in continuo stato di allarme, ma prova per lui una simpatia autentica. Indagatore d'anime a sua volta, Marco Villa matura nel libro l'esperienza del distacco («discrezione», la chiamerebbe Pierre Zaoui): quanto di più chiuso e deleterio sussiste nell'amor proprio è lasciato infine cadere, per avvicinare l'altro. Incrinato, fessurato, aperto, chi dice io stabilisce un contatto che predispone a un incorporamento: nel confronto, nella messa in comune delle nostre vite si fonda allora la possibilità di una liberazione." -
Il scappamorte
Fra il sonno, che è riposo e rifugio, e la veglia, tempo di scelte e di attese, ""Il scappamorte"""" nasce sulla soglia, quell'indiscreto affiorare dell'inconscio che permette a realtà e visione onirica di fondersi. Mentre gli altri, i vicini, vivono di giorno la loro vita di «doppioni», Scappamorte è creatura della notte: in essa si raccoglie, a essa si confida, scopre che la verità è una mente incerta. Villalta ci ricorda che tutto entra ed esce dal tempo, «tutto/ passa di vita in morte in vita in un istante»."" -
Il sogno di Giuseppe
Giuseppe giace al fondo della cisterna come in un regressus ad uterum. Chiamate le ginocchia al petto, disteso su un fianco, il figlio più amato di Giacobbe è colto da indefiniti terrori e sogni di fuga (vi si accampano con sicuro effetto i migranti di oggi): sono le visioni e divinazioni per cui il faraone lo richiede del suo aiuto. Ne ""Il sogno di Giuseppe"""" il significato manifesto è plausibile, ma rimanda ad altro: allegoria vivissima, con i colori e i tratti dell'umano più vero, Giuseppe media tra il singolo che ha un'origine e una storia, e la categoria che tutti i singoli, tutti noi (migranti e non) comprende e spiega."" -
Il bambino di seta
Un bambino di 11 anni in un collegio sul Lago Maggiore. L'ambiente è ostile, i ragazzi vengono picchiati, costretti a diete surreali ed esperimenti medici. Considerato un caso clinico, per lui l'unica resistenza possibile è rifugiarsi in un mondo fantastico. Il racconto s'intreccia, in un continuo scorrere avanti e indietro nel tempo (alla Tarkovskij), con i ricordi d'infanzia e la giovinezza tra Friuli e Liguria, Venezia, l'amore di un gatto. Fino all'enigmatico finale. -
At the back of my ear. Essays on poetry and literary crossings
"At the Back of My Ear"""" è un libro di saggi in lingua inglese e si occupa dell'arte poetica di alcuni tra i più importanti poeti contemporanei di lingua inglese. I due premi Nobel per la letteratura, l'irlandese Seamus Heaney e il caraibico Derek Walcott, e poi gli statunitensi Lawrence Ferlinghetti e Amiri Baraka (Le Roi Jones), l'inglese Geoffrey Hill, il sudafricano Douglas Livingstone, gli scozzesi Kenneth White, Edwin Morgan, John Burnside e Douglas Dunn." -
L'uomo che inventava le città
"L'uomo che inventava le città"""" è il racconto della vita straordinaria di Rafael Zarlanga, artista argentino al quale un giorno Juan Domingo Perón, l'ex presidente in esilio, chiede di progettare un'intera metropoli, la """"città utopica peronista"""". Il progetto, al quale il committente non dà vere e proprie linee guida, smarrisce presto ogni limite: cerca uno spazio insospettato, moltiplica la tipologia del materiale, si allarga all'incommensurabile, imprigiona Zarlanga che finisce per vivere dentro i modelli di cartone o legno che realizzano in tre dimensioni le forme e le idee inconciliabili della città e dell'utopia. In questo racconto lungo, che ricorda Borges, Kafka e Calvino, Guebel avvicina, come scrive Luigi Marfè nella postfazione, """"la prospettiva dell'artista a quella del rivoluzionario: l'ossessione per la forma perfetta del primo è altrettanto demonica, totalitaria, fallimentare del sogno di società ideale cui l'altro pretende di dare realtà con la sua rivolta""""." -
Notte purpurea. La poesia di Giancarlo Pontiggia
Questo studio ruota attorno alla necessità radicale della poesia in quanto significato della vita. Queste pagine narrano l'esperienza di un critico che legge uno dei massimi poeti contemporanei, Giancarlo Pontiggia, per porre il nodo di una dilaniante questione: cos'è la poesia se non la coscienza del segreto della realtà? cosa sarebbe la nostra esistenza se la vita non fosse affidata al sogno, alla veglia, alla ragione febbricitante della conoscenza poetica? Il saggio di Arnaldo Colasanti, scrittore e critico letterario, è l'analisi perentoria di sole due poesie che, pure, vengono pensate come varco per ritrovare l'antico e il futuro della lingua, la pura scommessa della contemporaneità, la sua tenerezza e il suo ardore, le fonti vive di Lucrezio o di Epicuro, di Mallarmé e insieme del più inquieto oggi, come del pieno Novecento. La critica di Colasanti è una rapsodia o forse uno Stabat mater, per dichiarare, ancora una volta, che in questi anni di vuoto e di irrisione, in quest'epoca svilita dalla presunzione dell'invidia sociale e dalle ferite del narcisismo, ciò che solo conta, quello che è il ruolo stesso della poesia, è la sua capacità di senso, è la sua grande arte del volo oltre le ideologie, la mediocrità, le chiacchiere quotidiane. Lo statuto di imperdonabilità e di esperienza etica non è che la sua stessa esistenza politica: la fede nuda nella poesia contemporanea come ascia contro l'aridità del mondo. -
La sola andata
"La sola andata"""" segue ad alcuni anni di distanza il precedente """"Naufragi"""". Colpisce sempre, nella poesia di Giovanna Dal Bon, la necessità della parola poetica. La sua è una scrittura che asciuga il verso, acumina la parola e, al tempo stesso, pronuncia con voce scandita. Non teme. È una voce che emerge dalla perdita, dal sommerso, dal «sotterraneo dell'esserci», e si porge al di fuori, a cercare, «decidere le distanze / quell'andare / quel venirsi incontro / (...) / indossare la voce adatta / prevenire il contraccolpo / tentare l'equilibrio della sola andata»." -
I denti dell'arte. La letteratura entre-deux-guerres nell'«Italiano» di Leo Longanesi
Quanto ha segnato finora la sfortunata ricezione critica dell'«Italiano» fu quel sottotitolo che con varianti minime portò con sé fino alla fine: «Settimanale della gente fascista». Quando nel 1926 uscì il primo numero dell'«Italiano», Leo Longanesi non era ancora maggiorenne, ma portò avanti ostinatamente questo suo progetto fino al 1942. A nessun'altra delle sue riviste avrebbe dedicato se stesso come alla sua prima avventura di direttore. Ma l''«Italiano» riceverà minor attenzione da parte della critica posteriore rispetto a «Omnibus» e al «Borghese». Negli anni Trenta «L'Italiano» diede voce ai migliori scrittori della nuova generazione, quali Comisso, Moravia, Buzzati, Soldati, Tobino, Benedetti e Brancati. Evitando lo sperimentalismo e l'avanguardia, il foglio seppe nondimeno rivelarsi spregiudicato e moderno, fuggendo strenuamente quelle novità che sono i denti della letteratura e dell'arte: «servono solo per mangiare, ma ingialliscono e si perdono». Il risultato è una testata ricca di contraddizioni e di notevole fascino («L'Italiano si vende moltissimo, ed è seguito», scrive nel marzo 1931 all'amico Pellizzi), capace di accostare un testo di Mussolini a un racconto di Hemingway, poesie di Ungaretti ad aforismi dello stesso Longanesi, nonché in grado di far collaborare un antifascista pentito come Giovanni Ansaldo con il selvaggio Mino Maccari. Questo libro prova a dar conto dell'idea di letteratura proposta dall'«Italiano», studiando i contributi dei suoi principali collaboratori ed esaminando il loro effettivo apporto alla fisionomia del periodico. Si tenterà, insomma, di restituire al lettore un quadro quanto più sintetico ed esauriente dell'identità di una rivista che, nelle storie letterarie, dovrebbe occupare almeno lo stesso spazio riservato a «Solaria». -
Fly mode
La prima, singolare evidenza di Fly mode è la voce narrante: a parlare è un drone, strumento in grado di portarci umanità e distruzione. La seconda riguarda l'ampiezza del lessico, dove l'ipertecnicismo e il colloquiale si intrecciano, la citazione erudita si alterna all'espressione infantile. Stupisce infine, quasi commuove, l'imprevedibile traiettoria del volo di Bernardo Pacini, che inizia con uno sguardo panoramico sul mondo - Aleppo, Firenze, Stati Uniti -, per terminare con un'esperienza delle più intime, l'accudimento di un nonno. -
Noi
Nell'immagine rarefatta di un'alba appare la possibilità di un incontro, di un noi. La luce, protagonista indiscussa della scena («luce, luce ovunque circondata / da sé»), è sprigionata da un sole che, se in apparenza rassicura, in breve diventa «abbacinante»: agisce sui corpi e sul testo come su superfici riflettenti, nella cornice di ciò che Laura Pugno chiama «casa». Ma il bosco, la foresta, non sono luoghi di conforto, sì di smarrimento e conoscenza. Intorno al duale della coppia, infatti, si apre una pluralità di altri: i vivi, i morti, gli elementi (legno, mare, «luce-incendio», metallo…), partecipi insieme a noi della medesima, antichissima esperienza. -
Il mondo che fa per me
"Il mondo che fa per me"""" di Valentina Proietti Muzi definisce una zona limitare tra l'essere madre e l'essere giovane figlia, «tra il visibile che porta racconto / e un pianeta sommerso». In questa dialettica, si coglie la tensione verso un'unità perduta - il sinolo Demetra-Persefone -, che si connota soprattutto come mancanza e desiderio. Interviene infatti uno strappo, a sospendere l'abituale percezione di sé e della realtà («passati i corpi / tieni dietro alle ombre»); o, anche, la fente di una possibile apertura: alla luce e alla rinascita. Perché del mondo di sotto - ben più consistente, e riconoscibile, di quello dei vivi - Persefone è regina." -
Oltre la quarantena
Silvestro Neri, medico di professione e poeta di vocazione, ha scritto ""Oltre la quarantena"""" durante il confinamento che tutta l'Europa ha sofferto tra inverno e primavera 2020. La raccolta prende il suo titolo dal 'periodo di segregazione e di osservazione al quale vengono sottoposte le persone in grado di trattenere o diffondere i germi di malattie infettive'. Ma questo libro è anche un canzoniere di oltre quaranta poemi, che ci pone in un tempo lento, che si è arrestato, e poi conduce all'improvviso a un tempo passato, a un tempo evocato; e al tempo più importante per l'autore: il momento futuro, che si traduce, alla luce delle sue parole, nel tempo del desiderio, nel tempo del viaggio. Oltre la quarantena racconta le piccole e le ripetute cose che fanno dell'uomo ancora l'uomo, gli atti semplici e quotidiani che colmano di vita il momento presente e ci salvano dalla noia e dall'inerzia; e nasce come atto di coraggio, rinascita e liberazione, perché la poesia ci salva, perché «servono per servire le parole / pure quelle in disuso appassite / come viole». (estratti dalla postfazione di Pedro J. Plaza González)"" -
Sogni e risvegli
In ""Sogni e risvegli"""" agisce un'attrazione - maggiore che nei libri precedenti di Bajec - verso il dato culturale arcaico: l'autore vuol gettare un ponte tra sé e un passato remoto cui sente di appartenere. Allo stesso modo, l'assoluta prossimità di scrittura-azione e poesia-contemplazione è tesa a riversare il mondo infero delle pulsioni e degli affetti nella sfera superna della militanza politica; e viceversa. Come in un viaggio di andata e ritorno dall'abisso-corpo all'intelletto più luminoso, due lingue, due culture cercano insieme la quadratura del cerchio, nell'indispensabile esercizio di un'autotraduzione (o autoenunciazione) sempre interrogante e sottoposta a verifica."" -
Tra spazio e paesaggio. Studi su Calvino, Biamonti, Del Giudice e Celati
Se è vero - come ha scritto Francesco Biamonti - che «è destino umano abitare un mondo», è altrettanto vero che le categorie di spazio e di paesaggio divengono i fondamentali strumenti ermeneutici per cogliere il senso della nostra posizione nel mondo, in una sorta di mapping infinito e inesauribile. Prendendo le mosse da una ricognizione filosofica dei concetti di spazio e paesaggio, visti e considerati dialetticamente, nelle loro reciproche implicazioni, nonché dalla rilettura di alcuni momenti chiave dell'opera di Calvino, si analizzano le forme della rappresentazione spaziale e paesaggistica in tre autori di ""scuola"""" calviniana: Biamonti, Del Giudice e Celati. Emergono così approcci anche molto diversi, ma tutti in qualche misura accomunati dal riferimento a Calvino, la cui attività scrittoria si era svolta tra la gioiosa scoperta del paesaggio nativo e l'emergere, sulla scorta di un novecentesco spatial turn, di un interesse sempre più marcato ed esclusivo nei confronti della spazialità. Di qui le soluzioni, in parte divergenti, adottate dai tre scrittori: il paesaggismo modernamente aggiornato di Biamonti, che frantuma il paesaggio tradizionale restituendone echi e risonanze esistenziali; la rigorosa ricerca spaziale di Del Giudice, per il quale il paesaggio si riduce a pura archeologia, a inservibile reperto del passato; lo sguardo fenomenologico di Celati, l'autore che forse più di tutti cerca di rompere la dicotomia spazio/paesaggio per trovare nel concetto di luogo, inteso quale sintesi insolubile di spazio e tempo, un ancoraggio poetico ed esistenziale.""