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Democrazia personalista
"Democrazia Personalista"""" nasce da una serie di interventi svolti dall'autore in convegni e lezioni; tratta del concetto di persona in un ampio spazio culturale sia storico che biografico. Partendo dalla visione filosofico-politica di Emmanuel Mounier (1905-1950), l'autore ripropone la centralità e il valore della persona nell'ambito della pubblicistica contemporanea. La centralità della persona viene riproposta prendendo spunto dalle fonti filosofiche tomiste alle quali il pensiero di Mounier si è costantemente ispirato sin dall'esordio sullo scenario culturale negli anni Trenta del Novecento, soprattutto attraverso la rivista """"Esprit"""". La coniugazione politica con la categoria della """"democrazia"""" avviene mediante la declinazione del vissuto democratico in ambiti storici diversi, privilegiando il rapporto tra persona e fede religiosa, non in modo confessionale ma laicamente inteso, per poter illustrare come il personalismo ha saputo aprire una frontiera nuova del vivere democratico, svelando l'essere dell'uomo """"situato"""" nella storia. """"Democrazia Personalista"""" è una disamina culturale del cammino che, attraverso la promozione della persona e la sua centralità, ha reso possibile promuovere una vera cultura della pace attraverso un sentimento di uguaglianza sociale." -
Il respiro di un secolo. Un Novecento percorso dalla miseria, dalle epidemie, dagli orrori di due guerre
Michelina è una bracciante di Lucera, sveglia e perspicace. Nata nel Novecento, all'indomani della Grande Guerra si trova ad affrontare la pesante realtà del Sud, dilaniato dalla miseria, dalle epidemie, da crescenti disordini sociali. Nel 1922 sposa Antonio, anche lui bracciante, insoddisfatto della sua condizione e propenso a smaltire il magone in cantina, giocando a tressette e ubriacandosi. Di idee socialiste, Antonio vede nella lotta portata avanti dal partito l'unico mezzo per risollevare le sorti del suo paese. Sicché, quando a Lucera scoppia una rivolta contro l'aumento del prezzo del pane ne prende parte attiva. Ma le rivendicazioni vengono soffocate nel sangue. Michelina, intanto, intuisce che per orientarsi negli sconvolgimenti del suo tempo è necessario imparare a leggere e scrivere. Si lancia così nell'impresa, lasciandosi guidare da un maestro bambino e dal messalino delle preghiere da cui copia le lettere. Fallito il tentativo di far fortuna ad Addis Abeba, Antonio decide di emigrare a Torino, con la famiglia. Ma ancora una volta sbaglia i suoi conti. Ad attenderlo trova la minacciosa ombra di un'altra guerra profilata all'orizzonte. -
Dal nostro inviato Gabriele D'Annunzio. 1881-1891. Miserie e nobiltà nella cronaca rosa del decennio romano
Il primo novembre 1881 Enrico Nencioni, giornalista e apprezzato poeta, riceve una lettera da Castellammare Adriatico; l'apre e legge: Trova un alloggio a tuo piacere, ove mi diano anche da pranzo, perché io odio cordialmente le trattorie con i loro rumori, gli avventori antipatici e il fumo soffocante del tabacco. A scrivergli è Gabriele d'Annunzio, già noto alla critica per il Primo Vere dato alle stampe nel '79 e in seconda edizione nel 1880, nonché fresco autore di In memoriam, una lirica dedicata alla nonna, che gli farà da trampolino per la sua entrata a Roma nella prima decade di quel novembre. Il giovanissimo d'Annunzio, a ventuno anni dal cambio di regno, trova una Roma in pieno fermento culturale e completamente inebriata dalla ventata di libertà entrata dalla breccia di Porta Pia. Con la caduta dello Stato della Chiesa è saltata la ferrea censura di Pio IX favorendo la nascita di un consistente numero di pubblicazioni. Tra quotidiani, settimanali, quindicinali e mensili se ne contano una sessantina. La Cronaca Bizantina e il Capitan Fracassa dove inizia subito a collaborare sono gli ultimi usciti, sei mesi prima la Bizantina, un anno e mezzo il Fracassa. L'idea geniale del riccioluto Gabriele è quella di mettere la sua forbita scrittura al servizio della cronaca più frivola, quella dei salotti, delle feste, delle cacce alla volpe, della bella vita condotta dalle nobili dame. In poche parole, superando la stantia ""Vita di società"""" che tratta con i guanti bianchi il bel mondo della nobiltà romana, riverendo principi, duchi marchesi e conti, inventa la moderna """"Cronaca rosa"""", spigliati resoconti della mondanità romana (molto più garbati dell'attuale gossip), che per tutto il suo decennio romano gli daranno lustro e notorietà. I dieci anni romani, al di là dell'invenzione della """"cronaca rosa"""", ci restituiranno un giornalista completo (anche se talvolta """"malato"""" di bipolarismo), e, soprattutto, un altro d'Annunzio. Quello che non ti aspetti."" -
Cristo prima di Cristo. La parola poetica e il Cristianesimo naturale
Questo libro tratta di quei valori seminali naturaliter cristiani, come riteneva l'ardente apologeta Tertulliano, che si possono riassuntivamente indicare come «Cristo prima di Cristo». Sono valori finali, non strumentali, senza i quali una società, benché tecnicamente progredita, rischia di ridursi a congerie disorientata, ansiogena e umanamente impoverita. La ripresa di una religiosità ecumenica, al di là dei poteri clericali, che amministrano e non esitano a commerciare il sacro, si pone, nelle condizioni odierne, come l'unica garanzia di sopravvivenza del genere umano. -
Le stanze dell'antropologia
Questo libro presenta alcuni antropologi, il loro metodo e allo stesso tempo apre alcune stanze della contemporaneità proprio grazie all'antropologia culturale. È un libro che non dimentica le lezioni di Boas, di Kroeber, di Mead, di Magli che in questi anni hanno permesso di decodificare i significati che viviamo, i modelli e i simboli del nostro essere Sapiens-sapiens. Le stanze dell'Antropologia non chiude alcun discorso, ma guarda a spicchi di mondo che vengono informati anche dalla filosofia, dall'arte e dalle scienze in generale. Il tentativo è quello di capire ancora dove andiamo sul piano delle discipline, della lingua nell'ambito di una cultura, quella dell'Occidente in forte trasformazione. In questo momento rileggiamo i classici forse per capire meglio i tratti e le configurazioni di una storia culturale: l'immigrazione-emigrazione, la cosiddetta cancel culture, il politicamente corretto. È una Antropologia che impara il presente dalle mille lezioni sparse, mai esaurite, tuttora interrogative e che ripensa ""noi"""", il modello occidentale."" -
Sul «nipote di Rameau»
"Il nipote di Rameau"""", testo memorabile di Diderot, fu tradotto da Goethe nel 1805 ed elogiato da Hegel nella Fenomenologia dello spirito. Può essere considerato il suo capolavoro filosofico-satirico, il libro in cui la dialettica del pensatore francese ha saputo raggiungere la sua massima e più compiuta espressione. L'opera, come ha detto Foucault, è «il delirio, realizzato come esistenza, dell'essere e del non-essere del reale». La vicenda è narrata in forma di «dialogo immaginario» fra Rameau, nipote del celebre musicista nonché libertino adulatore, e Diderot, fra «Io» e «Lui», i protagonisti del dialogo, scissione vivente del soggetto che si coglie solo in una dialettica irrisolta reciprocità. Alla lettura critica di questo imponente «dialogo», colorito e complesso, proponiamo qui due scritti molto pertinenti e penetranti di Andrea Calzolari. Come per tutti i grandi materialisti, da Epicuro a Marx, anche per Diderot il «materialismo» non è solo ipotesi conoscitiva sulla natura del mondo esterno, è critica della falsa coscienza, come dimostra l'autore, analisi radicale che demistifica l'ideologia, mettendo in giusta luce la posizione diderotiana come una delle punte avanzate di una cultura illuminista che aveva la vocazione della critica e dello smascheramento. I due scritti di Ferruccio Masini posti in appendice, commento e contraltare ai saggi di Calzolari, riprendono, in tutta la ricchezza delle sue funzioni trasgressive e produttive di senso, quello stesso materialismo che da sempre il pensiero borghese si è sforzato di esorcizzare relegandolo al margine della storia umana, facendo rilevare la densità «molecolare» di scrittura e le «sotterranee specularità» dei paradossi di Diderot. Con due scritti di Ferruccio Masini." -
Giuseppe Mario Arpino. Il diplomatico di Ferdinando II di Borbone
La storiografia che si è occupata delle Due Sicilie ha presentato, per lungo tempo, un Regno isolato dallo scacchiere internazionale ed incapace di risolvere gli atavici problemi endemici, in primis lo strapotere baronale. Questo saggio, attingendo a fonti di prima mano e di autorevoli diplomatici statunitensi, racconta la biografia di un abilissimo funzionario alla corte di Ferdinando II di Borbone: il pugliese Giuseppe Mario Arpino nato a Modugno, in Terra di Bari e che seppe mirabilmente assolvere gli incarichi a cui fu destinato: a Londra, a Palermo (dove intervenne per impedire, ad un giovane Francesco Crispi, un tentativo di truffa), a Napoli ma, soprattutto, siglare con gli Stati Uniti d'America un importantissimo Trattato Commerciale che, nelle intenzioni del governo napoletano, avrebbe ridimensionato il predominio politico e mercantile inglese. Poche ore dopo la conclusione dell'accordo, Arpino morì improvvisamente. Il saggio, inoltre, non tralascia nemmeno le vicende sentimentali dell'Arpino che sposò una poetessa siciliana, anch'essa morta prematuramente, e discendente del famoso pittore palermitano Velasco. -
Dettagli dimenticati dalla storia
Sono raccolte in questo volume alcune curiosità storiche che raramente trovano spazio nei libri ufficiali. Si tratta di ""vicoli"""" di storia, ossia quello che non si trova nei corsi, che sovente hanno il sapore di novità sorprendenti in quanto o non si conoscono affatto, o stridono con le versioni note degli accadimenti riportati. A volte verità scomode o sottaciute, a volte recentemente scoperte ma ben mimetizzate per non dar loro il giusto risalto. In ogni caso fatti, accaduti e documentati e quindi innegabili, che però sarebbe bene non restassero materia per soli specialisti o appassionati di storia, bensì diventassero patrimonio collettivo al fine di recuperare una ponderata coscienza critica sul nostro passato e sul nostro presente. Troppo spesso invece abbandonata per adagiarsi su verità di comodo o convenienza, nella nostra era malata e spesso figlia di un assai discutibile """"politicamente corretto""""."" -
Fede e ragione nel pensiero di Joseph Ratzinger
Questo piccolo libro dal titolo ""Fede e ragione nel pensiero di Joseph Ratzinger"""" prende spunto dalla conferenza tenuta dall'allora arcivescovo Monsignor Gerhard Ludwig Müller presso il Centro Papa Luciani di Santa Giustina (Diocesi di Belluno-Feltre) il 23 febbraio 2013, in occasione della presentazione del suo volume Ampliare l'orizzonte della ragione. Per un lettura di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI (Città del Vaticano 2012). Un incontro che aveva suscitato particolare interesse anche perché tenutosi a pochi giorni dall'annuncio di Papa Ratzinger «di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro» (Declaratio, 10 febbraio 2013). Il lettore scorrendo le pagine troverà oltre al testo della conferenza una breve intervista sui temi che toccano la relazione fede-ragione ma anche il dialogo tra cristiani e non credenti, il futuro del cristianesimo e il Concilio Vaticano II. Infine è possibile leggere il testo dell'omelia pronunciata nella Cattedrale di Belluno il 24 febbraio 2013. Santa Giustina e Belluno le due località che il predecessore del Cardinale Müller alla guida del Palazzo del Sant'Uffizio, l'allora Cardinale Ratzinger, aveva visitato nell'ottobre 2004, sei mesi prima del Conclave del 2005 che lo avrebbe eletto al Soglio pontificio. Questa pubblicazione ha ricevuto il patrocinio della """"Fondazione vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI""""."" -
Giustiziate il fogliettante. Vita e morte di Enrico Trivelli conte del Vasto
Ambientato nella Roma del papa-re Clemente XII, il fiorentino Lorenzo Corsini, Giustiziate il fogliettante prende le mosse da un fatto realmente accaduto legato alla vita e alla morte di Enrico Trivelli conte del Vasto, polemico fogliettante (un giornalista di allora), tramutato in capro espiatorio; la testa perfetta da offrire al re di Spagna per riallacciare i rapporti diplomatici interrotti a seguito degli arruolamenti forzosi operati dall’esercito spagnolo tra Roma, Ostia e i Castelli Romani, dei quali il Trivelli fu attento testimone e critico cronista. Tutti i personaggi principali citati nel romanzo, dal papa ai cardinali, dal governatore di Roma al bargello, dagli uomini di cultura ai bottegai di quella Roma bella e perversa, hanno realmente preso parte a vario titolo alla vicenda che tra il 1736 e il 1737, portò al patibolo il fogliettante Enrico Trivelli conte del Vasto. La parte romanzata riguarda principalmente i colloqui tra i vari personaggi e la vita privata del protagonista. La sua vita pubblica, invece, è desunta dai documenti del processo e dalle testimonianze dei pochi autori che tra l’Ottocento e lo scorso secolo si sono occupati della tragica vicenda. Altrettanto vere sono storia e immagini di quella Roma del Settecento descritta con i toponimi di allora, le botteghe storiche come l’Osteria del Moro alla Maddalena, la sartoria del vicolo della Lupa, i palazzi del potere come la Cancelleria, palazzo Nardini, il palazzo papale del Quirinale e le ville dei cardinali Albani e Corsini ad Anzio e Roma che hanno fatto da cornice alla tragica fine di Enrico Trivelli conte del Vasto, fogliettante. -
In viaggio con Dante e con la Commedia (1971-2021). Saggi, relazioni, conferenze, interviste, note di diario
Questo libro è il racconto di un viaggio durato cinquant'anni, dai tempi dei primi studi universitari fino ai giorni nostri, che Dante Marianacci ha compiuto in giro per il mondo, sempre o quasi sempre con la Divina Commedia sottobraccio o nella valigia, in compagnia di molti amici, spesso illustri studiosi, che ha ospitato nelle numerose città nelle quali si è trovato a vivere ed operare, come Praga, Dublino, Edimburgo, Budapest, Vienna, Il Cairo, invitandoli a tenere letture pubbliche, conferenze, relazioni a convegni, o anche semplicemente intervistandoli. Ne viene fuori un ricco e ben articolato panorama sulla presenza di Dante Alighieri nel mondo che, in questa eccezionale ricorrenza del settecentesimo anniversario della morte, si pone come un originale contributo allo studio e alla conoscenza del Sommo Poeta. Contributi di Ulla Åkerström, Fortunato Bellonzi, Vittorio Bresciani, Piero Calì, Arturo Cronia, Charles Dedeyan, Joseph Farrell, John Freccero, Pamela Hardesty, Béla Hoffmann, János Kelemen, Alfred Noe, Pavel Linhart, Hussein Mahmoud, Vladimír Mikeš, József Pál, Giorgio Patrizi, Dagmar Reichardt, Jacqueline Risset, Michele Rovini, Géza Sallay, Piotr Salwa, Vittorio Sermonti, Hans Werner Sokop, Enrico Tiozzo. -
Il sottosuolo dei demoni. Filosofia e dissolvenza
"Il sottosuolo dei demoni"""" è un libro di filosofia, ovvero di pensiero """"forte"""" su temi di comparazione estetico-antropologica. Si tratta di un viaggio in un Novecento che non ha mai consegnato la sua eredità all'epoca successiva. Il moderno sparisce e ricompare con un magico sentiero la Tradizione. Restano fondamentali alcuni scrittori e alcuni filosofi che hanno accompagnato l'autore del libro nel corso della sua vita in un abitare linguaggi e misteri. Si attraversano vissuti di contaminazioni tra letteratura, antropologia, filosofia ed estetica. Leggendo il testo viene immediatamente alla luce il suo testamento spirituale e restano come solchi i nomi di Pavese, Zambrano, Eliade, Masullo, Weil, D'Annunzio e Dostoevskij. Altri segnano la via e ulteriori pellegrinaggi. Forse non fanno la vita, tout court, dello scrittore Pierfranco Bruni, ma diventano incisi nella carnalità dell'anima come anima carnale. Il titolo è già un sottolineare chiaro. Il """"sottosuolo"""" e i """"demoni"""". È un libro eretico? O forse di più o forse altro. È certo che la filosofia contamina tutto. Quella filosofia che è estetica ed è profondamente metafisica oltre il nichilismo. La figura di Dostoevskij resta centrale nel vissuto di un uomo e di uno scrittore che ha fatto della sua scrittura il tempo dell'esistere." -
Il problema del male in Giacomo Leopardi
Come è possibile spiegare la presenza non solo dei concreti, singoli mali del mondo, ma anche quella di un male del mondo che non è redimibile, nonostante buona volontà umana? Quale giustificazione si può trovare per un'esistenza che appare costituita sui segni del dolore e della morte? Per tentare di dare una risposta a queste domande, Veronica Di Paolo ha scelto di prendere in esame uno degli autori più noti e amati del panorama letterario italiano: Giacomo Leopardi. Il noto poeta e pensatore recanatese è stato costantemente inquietato dal problema del male. Anzi, si potrebbe dire che il perno attorno al quale ruota tutta la sua meditazione filosofica è proprio il problema del male, dell'infelicità nativa e strutturale tipica non solo dell'essere umano, ma di tutti gli esseri viventi. -
Osservazioni su «La Voce» di Giuseppe Prezzolini
Questo libro si occupa di una rivista, La Voce, che, fondata e diretta da Giuseppe Prezzolini, ha avuto una notevole funzione intellettuale, ma anche politica, nella cultura italiana del Novecento. La scomparsa delle riviste personali è un segnale non trascurabile del fatto che, dopo la «società aperta» di Karl Popper, la «società liquida» di Zygmunt Bauman e la società come effetto inintenzionale delle iniziative individuali della Scuola Austriaca (von Hayek, von Mises, K. Popper), si afferma ormai, inevitabilmente, la «società irretita», tecnicizzata, disorientata e quindi ansiogena. -
Dì la verità, ma dilla obliqua. Poesie scelte
Emily Dickinson (1830-1886) costituisce ancora oggi un mistero letterario. Autrice di circa duemila componimenti che hanno trovato una sistematizzazione solo un secolo dopo la sua morte, Dickinson rappresenta uno dei momenti più alti della poesia di tutti i tempi. Visse per lo più nella casa paterna di Amherst, nel Massachusetts, in una solitudine creativa riempita da una scrittura dall'inconfondibile stile asciutto e denso, asimmetrico e ritmato, che racconta di una sensibilità unica nel panorama della poesia occidentale. Risulta, pertanto, difficile dare una definizione univoca dell'opera di Dickinson: poesia della natura e della cultura, dell'amore e della morte, del sacro e del profano, insomma di una vasta gamma di contrasti tanto forti quanto irriducibili che innervano una parola poetica plurima e la rendono inevitabilmente universale. -
Società civile e crisi democratica
Questo libro tratta della politica come arte del compromesso, ma anche come occasione di colpa e di profanazione delle anime altrui. In esso viene confutata la tesi della democrazia come pura procedura, in quanto troppo facilmente dimentica che essa è anche un'idea-limite e un ideale di giustizia e di eguaglianza sociale. Volere la democrazia non vuol dire contentarsene. La sovranità popolare si afferma premendo dal basso, richiede trasparenza e partecipazione, istituzioni efficienti, al servizio della società civile e non di se stesse. -
Pasolini «eretico solitario» e la lezione inascoltata di Gramsci
Pasolini temeva fortemente in vita di essere strumentalizzato dal potere, di rimanere vittima involontaria della capacità del sistema di metabolizzare anche le posizioni ad esso avverse e di trarne linfa vitale per la propria riforma interna e perpetuazione. Da qui certo suo estremismo polemico e certi atteggiamenti provocatori che potevano sembrare pose letterarie. Ma, dopo la morte, gli è successo di peggio. Assistiamo ad ogni anniversario alla sua «santificazione», quasi ch'egli fosse un fiore all'occhiello di quella società capitalistica matura di cui denunciò, con lungimiranza, tutti gli aspetti antidemocratici e, persino, dittatoriali. Questo volume si propone di contrastare le tendenze iconografiche, di qualsiasi segno, di studiare Pasolini nella sua umanità, nelle sue contraddizioni, nelle sue ""fughe in avanti"""" rispetto allo stagnante ambiente culturale italiano, ma anche nei suoi legami inevitabili col passato, anche nelle sue forme """"retrive"""" e """"conservatrici"""". Un Pasolini """"a tutto tondo"""", dunque, la cui opera va analizzata nella sua complessità ed articolazione, nel rapporto dialettico che esiste tra scritti in versi, romanzi, scritti teorici, scritti «corsari» e «luterani», opere cinematografiche, individuando i vari momenti della sua poetica ed estetica, tra i quali esistono certamente contraddizioni, ma, nel contempo, si può delineare una linea di sviluppo, una diacronia."" -
Saggi politici. Vol. 2: 1825-1832
Celebre soprattutto per il pamphlet ""I piffari di montagna"""", il Principe di Canosa fu autore in realtà di una immensa mole di opere da cui deriva un pensiero organico e coerente che lo pone tra i massimi pensatori del pensiero controrivoluzionario. In questo volume: L'utilità della religione cristiana cattolica romana (1825), La politica omeopatica (1828), In difesa di Maria Carolina Regina di Napoli (1830), I miracoli della paura (1831), I piccoli piffari (1832)."" -
L'impossibile pietà di Dante
Entrare nella cognizione del patire è un viaggio nel destino di Dante. Il patire è un partire alla ricerca della Luce. Va oltre ogni porto e supera il sottosuolo delle ombre. Questo libro di Pierfranco Bruni è un pellegrinaggio tra le voci e i segreti della filosofia e della Canzone di Dante. Sottolinea la necessità di superare il bene e il male cercando di convivere con una impossibile pietà. Una lettura che ha due riferimenti esistenziali e ontologici. Da una parte Nietzsche e dall'altra Maria Zambrano. Anche quando si tratta di argomentare linguaggi, come quelli del canto moderno, Pierfranco Bruni penetra il senso della verità delle ""anime salve"""", che vagano nel regno di una drammatica Spoon River. Ma è l'impossibile pietà che domina tutto il contesto nel quale Bruni esplora i dettagli metafisici dell'Opera di Dante. La stessa pietà è un patire. Una lettura singolare e originale si compie in questo coinvolgente pensare. Porta sulla scena il naufragio, l'esilio, la compassione, il tragico, il perduto, la rinascita. L'impossibile pietà è il labirinto filosofico di un Dante poeta."" -
Vita e tempi del cardinal Fabrizio Ruffo
In questo grande affresco di fine '700 troneggia Fabrizio Ruffo. Siamo a Roma dove, grazie all'amicizia con Papa Braschi (Pio VI, l'ultimo dei nepotisti), ai parenti influenti e, soprattutto, alle sue capacità, dal 1785 ricopre le cariche equivalenti a ministro delle finanze, della guerra e di grazia e giustizia. Realizza grandi riforme fiscali, avvia lavori di bonifica, dà impulso all'agricoltura e alle manifatture. Frequenta i salotti, partecipa alle feste, alimenta il gossip e si fa più di un nemico nell'aristocrazia. Il Papa deve licenziarlo, ma lo nomina Cardinale, anche se ecclesiasticamente non era andato oltre il diaconato. Aveva cinquant'anni: i più spesi negli studi di economia e nei tentativi di riforme radicali. Lasciò Roma coi ricordi che, dall'infanzia alla maturità, gli fiorivano agli occhi una serie di scene venturosamente ascendenti. Deve ricominciare daccapo, ma si era già creato una ""rete di salvataggio"""" nel Regno di Napoli. Così Fabrizio va da Ferdinando IV di Borbone che, desideroso di utilizzare pel suo regno l'ingegno e l'esperienza del novello porporato, lo nomina Sovrintendente alle Manifatture. In pratica gli dà pieni poteri, in quanto Sua Maestà si interessa solo di caccia e di sesso. Quando poi i francesi invadono il napoletano, il Re lo crea anche Commissario Generale delle Calabrie con l'incarico di formare un esercito popolare. È il febbraio 1799. Con 1500 uomini e due cannoni Ruffo iniziò l'avanzata contro gli invasori. L'armata si formò in viaggio e raggiunse un diecimila volontari al canto """"Tutti li franzisi - Avimmo noi d'ammazzare"""". Vi erano mescolati baroni, possidenti, operai, montanari, cittadini, preti, contadini, artigiani, straccioni, miliziotti, venturieri, soldati, banditi, professionisti, coi più strani arnesi per armi. Ma la pazzia del Ruffo, ormai sessantenne, riesce, e i francesi vengono cacciati nel giugno 1799. Per tutta riconoscenza ottiene solo l'invidia di vari personaggi: dal Nelson all'Acton e alla stessa Maria Carolina che, nonostante le diciotto gravidanze, ha avuto il tempo per imporre una politica volta solo agli interessi sella sua Austria. Il Ruffo non serve più. Degradato, lascia quella Napoli che pochi anni più tardi verrà nuovamente sottomessa dai francesi e tenuta fino alla sconfitta di Napoleone a Waterloo.""